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I CIMELI VERDIANI DEL CONSERVATORIO DI MILANO
A CURA DI GIANNI GALLINARO E SIMONA RASPATELLI

Il ritratto a mezzo busto di Giuseppe Verdi di Barbaglia (1) s’inserisce appieno nella corrente della Scapigliatura (2). Tipico è infatti il senso di frastagliatura e indeterminatezza del colore, steso senza che sia evidente la linea di contorno, che si crea piuttosto attraverso il contrasto e la sfumatura dei toni. È evidente la dipendenza dalla fotografia, che crea quel senso di sfocatura dei contorni.
La posa, ricercata, del grande musicista ruota leggermente verso la sinistra dell’osservatore: Giuseppe Verdi ha 74 anni, è al culmine della sua carriera artistica. Il viso è incorniciato in una barba ben curata e tipica dei ritratti più noti, cangiante, con note sfumate di verde che il pittore ripropone nella folta capigliatura. I barlumi di luce la accendono qua e là alla base, quasi confondendola e uniformandola al colletto della camicia. La giacca scura dà ancora più maestosità alla sua figura ed evidente, nonostante i colori non più brillanti, la cravatta a farfalla che sporge come uno spartiacque tra il collo del bavero e il debole bagliore della camicia sottostante. Nulla deve disturbare l’economia quadro: il secondo piano del fondo è realizzato abbastanza uniformemente, sfumato anch’esso come la figura maschile, di un cangiantismo più tenue per non creare confusione tra i due piani visivi. La luce, che illumina qua e là l’ovale del viso, proviene da una fonte esterna e posta a destra dell’osservatore, creando un perfetto connubio tra le ombreggiature. Pur non essendoci l’anno di realizzazione, fortunatamente la desumiamo (o, per lo meno, il termine post quem) da una frase su due righe che il Barbaglia ha lasciato vergata in rosso in basso a sinistra del quadro e che recita: “tolto dal vero/l’anno che fu dato alla Scala/la Iª volta l’Otello” (3). La prima dell’Otello ebbe luogo a Milano, nell'ambito della stagione di Carnevale e Quaresima del Teatro alla Scala, il 5 febbraio 1887. Questo dato ci permette di affermare che la gestazione dell’opera coinvolse il B. nell’anno 1887. Ma anche un altro dato ci interessa vivamente. Sul retro ci sono tre cartigli: quello posto in alto al centro della cornice, oltre a formalizzare la proprietà del quadro al Conservatorio, riporta stampato e ancora leggibile (anche se alcune parti si stanno sbiadendo) l’indicazione Società per le Belle Arti – Esposizione Permanente Milano. Dato non di poco conto. La Società era nata a Milano nel 1883 dalla fusione della Società per le Belle Arti (1844-1883) e la Società per l’Esposizione Permanente di Belle Arti (1870-1883) e riconosciuta ente morale dal Re Umberto I con Regio Decreto del 22 settembre 1884 (4).
Conosciamo pure il donatore dell’opera, essendo il nome apposto su una targa applicata sul recto della cornice: si tratta di Napoleone Brianzi (5), noto e benestante antiquario milanese, ricordato anche come socio della “Società Operaia di Chiavenna” (6). Con lo pseudonimo di Lorenzo Benapiani è autore di un piccolo testo sul palazzo Vertemate-Franchi di Piuro” (7).

Nei vecchi inventari, alla voce “Quadri, Statue, Incisioni e Modelli” sono ricordati sei quadri che raffigurano Verdi e un’incisione calcografica: l’unico che possa avvicinarsi al nostro è indicato al n. d’ordine 4284 e ubicato al primo piano del Conservatorio, nella Sala delle Allieve, insieme ad un altro quadro raffigurante il maestro, ma a figura intera (è indicato “in piedi”) e in buona compagnia con i ritratti di Bellini, Donizetti e Rossini. Purtroppo oltre alle misure che pressappoco coincidono (66x90), non abbiamo altri dati.
Sembra auspicabile anche che in questo inventario non compaia il nostro quadro. L’indicazione è troppo superficiale e banale per un quadro di buona fattura come quella del Barbaglia, posto fuori dal gusto presso i contemporanei solo dopo il 1890, ma ancora abbastanza conosciuto e richiesto. Esiste invece l’indicazione precisa dei tre quadri, oggi nella sala nuova di lettura del Conservatorio di Milano, che ritraggono Bellini, Donizetti e Rossini. Di ognuno sono riportate le misure esatte, la tecnica, l’ubicazione (nella Sala Accademica) e soprattutto il puntuale ricordo del pittore che li aveva realizzati. Strano che non venisse menzionato, tra questi grandi, proprio il Verdi! Si potrebbe allora pensare che l’opera, essendo entrata nell’allora Real Conservatorio in occasione del centenario dalla sua fondazione (1808), sia transitato non prima del 1908. L’inventario dovrebbe essere stato compilato entro la prima guerra mondiale (8), quindi la tempistica esiste, ma potrebbe anche non essere stato consegnato in tempo. È pur vero che mancano 7 righe di inventario, dal numero 4301 al 4307, ma purtroppo tale repertorio consta di fogli sciolti solo da poco rilegati. È auspicabile che, se il quadro in questione non è quello indicato con n. d’ordine 4284 potrebbe essere tra quelli descritti nella numerazione mancante.
note

(1) Riporto il testo di Angela Ottino Della Chiesa (Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 6,  1964): “Nacque il 10 ottobre 1841 a Milano. Inquietudini sentimentali e una grave malattia che lo costrinse all'amputazione di una gamba tormentarono la sua prima giovinezza. Solo nell'anno 1863 egli si iscrisse all'Accademia di Brera, e fu allievo di G. Bertini sino al 1868. Si dedicò alla pittura di interni e soprattutto al ritratto, il che non gli impedì di eseguire qualche buon paesaggio. Frequentò la Scapigliatura e fu ritenuto tra gli artisti migliori di quella cerchia. Mai si mosse dalla sua città e dai dintorni. Il successo gli arrise rapido ma, temperamento schivo e taciturno, decadde dal 1890 circa nella stima dei contemporanei col mutare del gusto e si ridusse a vivere dipingendo a olio e ad acquerello copie grandi e piccole del Cenacolo vinciano e di classiche tele, a lui richieste in continuazione e ben pagate dall'estero. Morì a Santa Maria della Selva (Vedano al Lambro) il 28 marzo 1910.
Fu soprattutto ritrattista e vinse svariati premi. Oltre a personaggi di casa reale, a Garibaldi, a Verdi (1887), ritrasse gli uomini più in vista della Milano di allora, dai Bellinzaghi ai Silvestri, dai Farina ai Litta, ai Sostero, ai Della Beffa, ai Noseda, ai Belloni. Molti di tali ritratti sono in pubbliche raccolte: dell'Ospedale maggiore, della Congregazione di carità, dei Conservatori di musica, della Galleria d'Arte Moderna a Milano, e dell'Ospedale di Sant'Anna a Como.
Il fatto che vivesse gli ultimi vent'anni facendo soprattutto copie, sia pure notevoli, di quadri antichi, rende oggi particolarmente diffidente la critica nei confronti del B., il quale viceversa ebbe note vive, sentite e originali nei pochi esterni, piacevoli notazioni e sicure atmosfere negli interni, e fu nel ritratto veramente un artista, contemperando la nobile solidità della resa, lontanamente ispirata dai ritrattisti bergamaschi dei periodo aulico, a palesi suggestioni da Tranquillo Cremona. Una mostra postuma fu allestita alla Permanente di Milano nel 1911
”.

(2) Affermatasi tra il 1860 e il 1890, anche se alcuni la procrastinano fino alla prima decina del secolo successivo (v. ad es. Medardo Rosso), la S. può essere vista come il terzo momento saliente del Romanticismo, quello del fin du siécle, caratterizzato da modernità, vivezza, naturalezza, antiaccademicità. Essa s’impose come forma di reazione e protesta letteraria negli anni Sessanta, ma troverà fortuna e pienezza soprattutto nella musica e nelle arti visive (anni Settanta), intendendo queste ultime soprattutto nelle accezioni della pittura e della scultura, muovendo le premesse dall’opera di Faruffini. Anime fondamentali del gruppo furono i pittori Tranquillo Cremona e Daniele Ranzoni ma anche gli esiti plastici dello scultore Giuseppe Domenico Grandi. Il nome derivò da un romanzo di Cleto Arrighi, La Scapigliatura e il 6 febbraio (1862), ed ebbe un grande successo, tant’è che gli artisti lo preferirono al primigenio nome di Avvenirismo, che era però utilizzato con connotazioni dispregiative.
Agli Scapigliati, pur aprendosi diverse case della media e alta borghesia, per i venti di novità che la loro arte portò, piacque sempre il contatto genuino, popolare e, per certi versi fraterno, che potevano fare nelle osterie, dove si veniva a formare, tra un pasto e un bicchiere di vino, un sodalizio tra i diversi artisti (pittori, scultori, musicisti…), come la famosa Osteria del Polpetta. Nella quasi totalità essi vivevano nella zona di Monforte.
Ben presto la S. si identificò con “Famiglia Artistica” (nella sua ultima gestazione e cambio di nome), una sorta di grande associazione artistica, attiva a Milano dal 1873, che riuniva tutti gli artisti in genere domiciliati o operanti a Milano, ma anche i loro amici e critici. Caratteristiche peculiari della S. furono la generosità, il disinteresse e la genialità, come pure la tutela della libertà creatrice dell’artista contro l’utilitarismo dilagante. Contrari al neoromanticismo, incapparono col tempo in un eccesso d’individualismo intransigente.


(3) L’Otello è la penultima opera di Giuseppe Verdi e fu composto nel 1883, lo stesso anno del Falstaff. Il libretto di Arrigo Boito fu tratto dalla tragedia omonima di Shakespeare.

(4) Dal cartiglio si evince che è ancora indicata la vecchia sede.

(5) Egli aveva acquistato, insieme alla moglie Mina Arrigoni, a Prosto di Piuro vicino Chiavenna, il Palazzo Vertemate-Franchi nel 1902. Dal 1879, anno in cui si estinse la famiglia Vertemate, l´intera proprietà venne progressivamente degradandosi, l´arredo andò disperso, i terreni vennero inselvatichendosi. In tale stato di abbandono il Brianzi ne curò, dal 1902, il restauro e il nuovo arredo, introducendo pezzi d'epoca provenienti da altre dimore, di cui però rimane solo una parte. Dopo la morte della Sig.ra Arrigoni nel 1930, il palazzo è passato di proprietà del conte Solito de Solis di Castovillari,  il quale non fece alcun miglioramento all’immobile. Solo nel 1939 il palazzo, a seguito di un’asta pubblica, è capitato nelle mani di altre persone appassionate, ad Antonio Feltrinelli e all’architetto ingegnere Luigi Bonomi. Quest’ultimo ha continuato  l’opera svolta dai coniugi Brianzi e non ha lesinato a spese per farlo ritornare al precedente splendore. Dopo la sua morte, l’architetto Bonomi lasciò la villa a Maria Eva Sala la quale, nel 1986, nel testamento ha lasciato il palazzo al comune di Chiavenna.

(6) La Società venne fondata il 16 febbraio 1862 a Chiavenna (SO), con il nome di Società Democratica degli Operaj Chiavennesi, da un gruppo di trentasei soci, primo firmatario Carlo Pedretti. Nel primo “Programma per l'istituzione” (ce ne saranno poi negli anni degli altri) si evidenzia la duplice finalità sociale e politica della Società. Sono indicati come compiti sociali “[l’]istruzione degli operaj nei principii delle lettere e delle matematiche, negli elementi della storia e geografia ed intorno ai doveri ed ai diritti di ogni cittadino” e il “mutuo soccorso e conseguente miglioramento della condizione delle masse”; come compiti politici “l'unità d'azione colle altre Società Operaje d'Italia e col Comitato centrale di provvedimento istituito da Garibaldi per l'attuazione del programma Italia e Vittorio Emanuele; l'armamento nazionale ed istruzione militare del popolo, onde conseguire l'Indipendenza e l'Unità con forze esclusivamente nazionali, il suffragio universale diretto ed eguaglianza di diritti, onde anche il non possidente abbia a fruire dei diritti accordatigli dalla sua qualità di cittadino italiano".

(7) L. Benapiani, Il palazzo Vertemate in Piuro, Milano, Tecnografica, 1907.

(8) Dato fornito oralmente dal M° Graziano Beluffi.

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Il giovane Gemito riesce a coglierne la geniale personalità nel momento in cui il grande compositore, stanco di posare in attesa dell’ispirazione dell’artista, improvvisamente si alza e china la testa sul pianoforte.
Il ritratto raffigura Verdi con la testa leggermente chinata in avanti, sembra davvero al pianoforte, assorto in una visione lontana, con la barba fluente, la fronte ampia e il bavero della giacca rialzato solo sul lato sinistro.
Da alcune ricerche effettuate si evince che l’originale di terracotta si trova a Busseto nella Casa di Verdi, ma sono state constatate altre riproduzioni, come ad esempio il bronzo dello stesso busto a Milano nella Casa di riposo dei musicisti e una terracotta presso la Galleria dell’Accademia di Napoli. La cera originale apparteneva alla moglie dello scultore Giuseppina Gemito. Un altro esemplare di bronzo fa parte della Collezione Minozzi e altre due fusioni si trovano una a Firenze nella Raccolta Consolazio e l’altra a Genova nella raccolta Finocchiaro. A queste riproduzioni ne sono seguite comunque delle altre non identiche tra loro.
Molto probabilmente questa è una delle copie riprodotte in seguito. La sua autenticità è confermata dalla firma confrontata con quella originale dello scultore napoletano. A sostegno del ritratto due ali in bronzo che si appoggiano sulla base in legno dove è inciso a lettere cubitali il cognome del grande compositore.

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Opera di grandi dimensioni, ha un impianto fortemente ottocentesco e accademico, di un’artista (1) attardata su canoni oramai sorpassati, ma indubbie la bravura pittorica e tutta la cultura artistica di fine Ottocento, che si riferiscono soprattutto ad un attento studio della luce. Quest’ultima, naturale, proviene dalle spalle del maestro e gli rischiara e il volto e tutta la parte sinistra del corpo, facendo risaltare e brillare le parti più chiare, come ad esempio i capelli, la barba e le estremità del colletto e della camicia. Sicuro il taglio e l’impianto fotografico o, comunque, la ripresa dal vero del soggetto.
Verdi indossa una giacca a doppiopetto e trattiene, con la mano destra, un cappello della medesima tinta scura delle vesti e sulla cui tesa si crea un bel rapporto chiaroscurale, risolvendosi in un delicato cangiantismo.
La stazza del compositore è maestosa, in piedi e con le braccia conserte, in una posa ricercata, dividendo praticamente a metà la tela: si noti la prospettiva leggermente di lato, che insiste, in primo piano, sulla rotazione della gamba sinistra e che cattura lo sguardo dello spettatore, facendo assumere a tutto il corpo un equilibrio maggiore. Fa da sfondo un suggestivo angolo di verde, all’esterno della residenza del musicista a Sant'Agata, dove l’artista ha saputo contrapporre benissimo la figura scura dell’uomo in primo piano alle parti chiare della balaustra, da cui fa capolino una sinuosa edera e del prato, chiuso da un accenno di boscaglia nei piani retrostanti.

Sui vecchi registri del conservatorio è assegnato come n. d’ordine progressivo il 4315 e luogo di ubicazione la Sala Accademica. In esso è ricordato anche come la pittrice donò direttamente il quadro al Real Conservatorio di Milano. Nulla al momento si sa della stessa, nonostante il cognome Liuzzi compaia nei secoli come appartenente a diversi artisti, almeno dal XVI a tutto il XIX secolo. Una ventina di anni fa circa (2) l’opera è stata prestata per essere esposta a una mostra nella Reggia di Colorno. Non è stato possibile approfondire la questione, che potrebbe aprire altri spiragli sia sul valore del quadro sia sulle vicende artistiche e personali della pittrice.

note

(1) Particolare la vicenda che ha portato a “scoprire” la paternità della pittrice. Qualche indizio sul sesso dell’autore era stato avanzato allo scrivente da alcuni studiosi e docenti del Conservatorio come averlo appreso oralmente o letto in qualche repertorio: la certezza appena è stato possibile staccare l’opera dalla parete e leggere il nome su un cartiglio retrostante nonché dopo aver consultato i cataloghi degli inventari dei beni mobili del Conservatorio.


(2) Dato comunicato oralmente dalla Prof.ssa Laterza, bibliotecaria per diversi anni al Conservatorio di Milano.

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