GIUSEPPE VERDI E LA CUCINA
REALIZZATO DA I.I.S.S. G.MAGNAGHI - SALSOMAGGIORE TERME
CLASSE 3a ACCOGLIENZA TURISTICA - PROF. VALERIO ANTOLINI, ANNO SCOLASTICO 2013/14
Non goloso ma raffinato
“Il Verdi non è goloso, ma raffinato; la sua tavola è veramente amichevole, cioè magnifica e sapiente: la cucina di Sant’Agata meriterebbe l’onore delle scene, tanto è pittoresca nella sua grandezza e varia nel suo aspetto di officina d’alta alchimia pantagruelica.” Così diceva Giuseppe Giacosa nel 1889 da giornalista e da ospite privilegiato della villa di Sant’Agata. E aggiungeva “…Non c’è pericolo che per indisposizione del cuoco il pranzo abbia a scapitare. A Sant’Agata, oltre il titolare, sono cuochi emeriti il giardiniere, il cocchiere ed una domestica, sicchè: uno avulso non deficit alter. E notate che tutto questo apparato è essenzialmente ospitale. Il Verdi non è gran mangiatore, né di difficile contentatura. Sta bene a tavola come tutti gli uomini sani, savi e sobri, ma più di tutto ama veder raggiare intorno a sé, negli ospiti, la giocondità arguta e sincera che accompagna e segue le belle e squisite mangiate: è un uomo disciplinato e come tale crede che ogni funzione della vita debba avere il suo momento di prevalenza: è un artista e come tale considera, e con ragione, il pranzo quale opera d’arte”.
Abile manipolatore di cibi e non cattivo brucia pentole
La passione di Verdi per la buona tavola, nasce dalla sua terra natia, quella della bassa parmense raffinata poi dalla vita trascorsa a Parigi. Testimone dell’amore per la buona tavola sono i diversi carteggi che riportano consigli, suggerimenti, ricette e aneddoti sulla cucina. Questa sua raffinatezza lo portò ad essere molto esigente anche in fatto di cuochi. La scelta dei cuochi per Verdi, risultò un vero e proprio grattacapo, testimonianza che ci viene fornita da diverse lettere di corrispondenza. Mercede Mendula diceva che Verdi al cuoco faceva delle prove come a un cantante, in quanto lo voleva “Abile manipolatore di cibi” e non “cattivo brucia pentole”.
Da Genova, Verdi scrisse a Maloberti “[…] bada che lo voglio buono, e non un fanfarone”. Nel 1878 si rivolge ad un suo ex cameriere, Luigi Bizzi: “sappimi dire se a Reggio si può trovare un buon cuoco. Bada che io non voglio che sappia cucinare bene o male tre o quattro piatti casalinghi […] Spendo quello che vale, ma, ripeto, che sia un cuoco”; in un’altra richiesta spedita a Piacenza… nel maggio 1887…in cui scrisse al Sig.Castignani ringraziandolo di essersi occupato della ricerca del cuoco, sottolineando che quello inviatogli, un certo Ceresini, era già stato da lui per ben due volte e che quindi a costui rinunciava… Fu sotto la direzione della cuoca Ermelinda Berni che la cucina di Villa Sant’Agata diventò il salotto, dove il Maestro amava invitare i suoi amici più cari Arrigo Boito, i Ricordi, il conte Arrivabene, il soprano Teresa Stolz e pochissimi altri.
Con Sir Falstaff tutti andiamo a cena
Giuseppe Verdi amava diversi piatti, qui di seguito si riportano alcuni esempi.
Risotto
Per Verdi il riso rimane uno dei piatti da lui più apprezzato e consumato in tutto l’arco dell’anno; come d'altronde richiedeva la tradizione della sua modesta famiglia, tradizione che egli stesso poi continuerà nella grande Villa Verdi a Sant’Agata. Mentre il risotto, quello alla milanese, è il protagonista di alcuni episodi. Siamo nel settembre del 1869 Giuseppina scriveva di Verdi al amico impresario dell’Opéra di Parigi, le Monsieur Camille Du Locle: "Il est passè maitre pour le risotto” .
Ecco la ricetta del risotto per quattro persone, ricetta che Verdi dettò alla sua compagna mentre stava scrivendo a Du Locle.
“Mettete in una casseruola due oncie di burro fresco; due oncie di midollo di bue o di vitello, con un poco di cipolla tagliata. Quando questa abbia preso il rosso mettete nella casseruola sedici oncie di riso di Piemonte. Fate passare a fuoco ardente mischiando spesso con un cucchiaio di legno finché il riso sia abbrustolito ed abbia preso un bel colore dorato. Prendete del brodo bollente, fatto con buona carne e mettetene due o tre mescoli nel riso quando il fuoco lo avrà poco a poco asciugato, rimettete poco brodo e sempre fino a perfetta cottura del riso. A metà cottura del riso, bisognerà mettervi mezzo bicchiere di vino bianco, naturale e dolce; mettetevi anche tre buone manciate di formaggio Parmigiano grattugiato. Quando il riso sia quasi pronto, prendete una presa di zafferano che farete sciogliere in un cucchiaio di brodo, gettatelo nel risotto, mischiatelo, ritirarlo dal fuoco e versatelo in una zuppiera. Avendo dei tartufi, viene consigliato dallo stesso Maestro, di spargergli sul risotto a guisa di formaggio. Altrimenti mettetevi formaggio solo. Coprite e servite subito”.
Riso ai fegatini
Verdi ne andava ghiotto, e non se né privò nemmeno nelle ultime cene trascorse al Grand Hotel et de Milan. La ricetta che piaceva al Maestro era molto semplice. Consisteva in un battuto di verdure da far appassire a fuoco dolce.
Pulire i cuori eliminando le parti grasse, pilire i duroni togliendo la carne ed eliminando la parte gialla, tagliare il tutto a pezzettini. Pulire i fegati e tagliarli a pezzi. Buttare i fegatini in casseruola, farli rosolare e sfumare con vino bianco. Salare, pepare, mettere il resto degli aromi e coprire con 500 ml di brodo. Cuocere a fuoco lento per circa due ore. Alla fine si deve ottenere un sugo. Mettere il riso e a fine cottura mantecare con abbondante parmigiano.
Anolini in brodo
Ingredienti per 6 persone:
La pasta:
500 g di farina 00; 4 uova; 1 tuorlo; un filo d'olio extra vergine.
Il ripieno:
100 g pane grattugiato scottato con brodo di carne; 400 g di
parmigiano reggiano; sale; noce moscata; due uova.
Amalgamare tutti gli ingredienti del ripieno.
Stendere la sfoglia e disporvi i mucchietti di ripieno, coprire con altra sfoglia e formare gli anolini con l'apposito stampo. Una volta formati gli anolini cuocere in brodo di carne.
Spalletta cotta di San Secondo Parmense
A Verdi piaceva e amava regalare agli amici più cari, la spalletta tipica di San Secondo Parmense abbinata a una buona bottiglia di Fortana. La prima volta che si trova citata la spalletta è nel 1843, quando Verdi è a Parma, con la Strepponi, e promette al suo amico Luigi Toccagni che l’avrebbe raggiunto presto, portandosi appresso “la spalletta di San Secondo”. In seguito ci furono alcune spedizioni, di questo delizioso salume della bassa parmense, all’amico conte Opprandino Arrivabene, aprile 1872:“Io non diventerò feudatario della Rocca di san Secondo ma posso benissimo mandarti una spalletta di quel Santo […] devi mangiarla subito prima che arrivi il caldo. Sai tu come va cucinata? Prima di metterla al fuoco bisogna levarla di sale, cioè lasciarla per un paio d’ore nell’acqua tiepida. Dopo si mette al fuoco entro un recipiente che contenga dell’acqua. Deve bollire a fuoco lento per sei ore, poi la lascierari raffreddare nel suo brodo. Fredda che sia, vale a dire circa 24 ore dopo, levala dalla pentola, asciugala e mangiala”.
Un’ulteriore spedizione di due spallette, la si trova nell’agosto del 1890 a Teresa Stolz con la richiesta di darne una alla famiglia Ricordi accompagnata dalla ricetta, diversa da quella sopra riportata. Le differenze si riscontrano nei tempi di preparazione: bisogna lasciarla 12 ore in acqua tiepida e nei tempi di cottura, a differenza della seconda ricetta che prevede 3 ore e mezza/ 4 ore. Verdi nella lettera si raccomanda di forarla con un curendets, per stabilire la cottura. Conclude la lettera con queste parole: “Guardate soprattutto alla cottura: se è dura non è buona, se è troppo cotta diventa asciutta, stopposa. Ho detto, ho detto, e ora prendo fiato!”.
La spalla è ancora protagonista in una serata presso la Villa a Sant’Agata. Riporto qui di seguito le stesse parole dell’Abbiati. “Ai primi d’ottobre 1892, col teatrino dei pupi nel sacco da notte, Boito e Giulio giunsero in villa. Come aveva sognato Verdi quasi per ridere, ma invece era una cosa seria, nel salone del biliardo veniva così rappresentata per la prima volta, e all’insaputa di tutti, la commedia Falstaff. Si fecero le ore piccole e si consumarono una sull’altra due spallette all’uso di San Secondo. Innaffiatissime, come voleva la Giarrettiera”.
Polenta
Piatto della tradizione contadina di cui il Maestro era ghiotto, e di cui ne sentiva la nostalgia quando per lunghi periodi si allontanava da casa.
Si trova un riferimento nel 1870, quando impegnato nei suoi progetti all'estero, si augurava che questi potesseo finire "in una polenta a Sant'Agata".
Culatello
Lo si trova per la prima volta legato alla gioventù milanese, in occasione dei giorni in cui il giovane Verdi era in procinto di effettuare gli esami al Consevatorio.
Antono Barezzi ne aveva inviati due al Seletti che per l'occasione ospitò il giovane Verdi.
La cronaca vuole che solo uno arrivò a destinazione.
Cotoletta alla milanese
Verdi, ritornando dal mercato di Cremona, va all’Albergo Cappello, si siede al solito tavolo e ordina il piatto preferito: “E mi raccomando, burro in abbondanza!” grida al cameriere che risponde “Si, Maestro”.
Pavone farcito
Mangiare il pavone a casa Verdi era una piacevola abitudine, considerata una prelibatezza in occasione di banchetti importanti. Da una lettera abbiamo la testimonianza che Verdi ricevette in dono dal sindaco Corbellini di Busseto, un pavone, e il Maestro per ricambiare la cortesia lo invitò alla sua tavola: “[…]il pavone ch’ella ha avuto la bontà di favorirmi è già nel numero dei più, e domenica ad una ora farà la sua comparsa trionfale…l’aspettiamo dunque…e senza cerimonia alcuna” (30 aprile 1857).
La ricetta è ancora quella che viene proposta oggi a Busseto:
Un pavone giovane di tre chili circa dissosato e tolto dalla pelle, questa deve essere conservata intatta; 350g di radicchio di Chioggia; 35g di pancetta; 500g di pasta di salame; 50g di pane grattugiato; 50g di formaggio grattugiato; 2 uova; una cipolla; uno spicchio d’aglio; un rametto di salvia, olio, sale e pepe.
Prendere il fegato del pavone, tritarlo e rosolarlo con pancetta e radicchio poi si aggiungono le uova, sale e pepe. Tagliare sottile la cipolla, soffriggere e saltare in padella tutto insieme per 10 minuti. Aggiungere le cosce e il petto tagliati a striscioline. Mescolare tutto in un impasto unico a cui bisogna dare la forma del pavone usando come contenitore la sua pelle che andrà poi cucita. Cuocere in un tegame con gli aromi per circa tre ore bagnando ogni tanto con il brodo. Servire a tavola decorato con le sue penne, la testa e la coda, il pavone farà così una figura maestosa.
Uova
Arrigo Boito ci fa sapere, che Verdi per quasi tutta la sua vita, amava mangiare a pranzo mezzo uovo sodo dopo l’arrosto. E’ lo stesso Maestro, che in una lettera alla Maffei scrive che ama mangiare un semplice uovo con l’insalata.
Panettone
Il Panettone è legato ironicamente alla stesura della, forse, ultima opera di Verdi, l’Otello.
La storia del dolce milanese e dell’Otello iniziò a Natale del 1880, quando a Villa Verdi giunse un Panettone accompagnato da sacchetti, in cui si trovavano dolci di cioccolato con forme simboliche. È però l’anno successivo che il panettone sarà legato alla lunga stesura dell’opera. Infatti a Sant’Agata giunse il dolce milanese con sopra un bambolotto di cioccolato, nudo a simboleggiare l’Otello. Fu Munzio, ospite di quel Natale, a riferire in una lettera a Tito Ricordi: “Carissimo amico, abbiamo scoperto jeri che il tuo Otello è femmina, hanno dimenticato el maneg. Ho detto al Maestro che tocca a lui farlo uomo, vestirlo e alzarlo in piedi.”
L’anno successivo arrivò un altro panettone e l’ormai rito si ripeté per altri cinque anni, fino ad arrivare a dicembre del 1886, in cui giunse finalmente il dolce milanese con l’Otello dotato di gambe. “Finalmente l’opera sé fatta, si esclamò”. L’opera fu poi rappresentata per la prima volta al Teatro la Scala di Milano, il 5 febbraio del 1887 e due giorni dopo il consiglio comunale, riunitosi in seduta straordinaria conferì a Verdi la cittadinanza milanese. C’è poi un ringraziamento molto simpatico di Verdi a Ricordi, nell’aprile del 1895, in merito alla colomba pasquale ricevuta. “ […] è meglio che vi ringrazi della bellissima Oca che mangeremo oggi…Pardon! Pardon! Pardon! Grandemente Pardon! Ho scambiato una Colomba carica di pietre preziose in un Oca!!! Apriti o terra! Quando mia moglie l’ha saputo… Dio liberi…”.
Zabaglione
Verdi aveva una passione per i dolci e questo ricopriva un posto speciale. Si riporta la ricetta per 10 persone, proveniente dal ricettario di Ermelinda Berni, cuoca di Villa Verdi.
Ingredienti: 8 tuorli d’uovo sbattuti con 8 cucchiai di zucchero.
Quando sono ben sbattuti si mette 5 gusci d’uovo di vino bianco e 3 di rhum.
Si mesta bene poi si mette sul fornello a brace viva, si tiene mestato e quando è bel denso e sbuffa e segno che è cotto si versa su amaretti o biscotti; dieci di questi per dieci persone. Un giorno per l’altro.
Caffè
Verdi era ghiotto di caffè, lo preferiva nero e dal gusto forte.
Per lui era così importante che arrivò a consumarne anche sedici tazze al giorno dalla colazione alla sera.
Gli ultimi menù
Menù del 28 settembre 1900:
Riso e fegatini – Trote all’Olandese – Vitello in umido alla giardiniera – Lingua di bue – Cavoli di Bruxelles – Polli arrosto – Insalata –Crema versata – Pasticceria.
Menù del 7 gennaio 1901:
Risotto alla certosina – Branzino bollito con maionese – Bue brasato – Costolette d’agnello – Carni alla parmigiana – Tacchino arrosto – Insalata – Dolce – Frutta – Gelato al Rhum.
L’ultimo menù del 20 gennaio 1901:
Julienne au croûte – Truite de boeuf à la maitre d’hotel – Aloyau de boeuf à la jardinière – Pain de Gibier – Asperges en branche – Dindonneau à la broche – Glace aux Framboise – Patisseerie – Dessert.
